21 - 2003 PIRENEI FRANCESI

COPERTINA

 


ARTICOLO

Pirenei e dintorni, bicicletta e contorni

E’ una delle tante mattine rovinate dal fastidioso suono della sveglia, poi, trascorso un attimo, metti a fuoco la situazione, ti ricordi di essere in ferie e la levataccia mattutina è più che un piacere, alle 6,30 ha inizio la settimana ciclistica, l’appuntamento principe per gli sfregasella. La “settimana”, appunto, è un rendez-vous carico di attese che si accumulano per tutto un anno, il ritrovo prima della partenza è un incontro tra amici che si rivedono, lo scambio di saluti, lo stringersi la mano e le pacche sulle spalle sono i gesti che caratterizzano questi dieci minuti, quanto basta per ritrovare la sintonia instauratasi uno, cinque o venti anni fa.
La “settimana” è storia, nacque nel 1982 con sei partecipanti, siamo nel 2003 ed alla ventunesima edizione partecipano cinquanta ciclisti tutti o quasi dotati della specialissima all’ultimo grido. “Vecchi” e nuovi protagonisti accomunati dalla stessa passione, in viaggio verso località e luoghi sconosciuti che diverranno oggetto di pensieri da raccontare e di episodi da ricordare
Quest’anno il programma è davvero tosto, difficile a priori stabilire se più o meno impegnativo di quello affrontato in Sicilia nel 2002, guardando i grafici c’è poco da stare allegri ed i nomi dei colli da affrontare incutono un poco di preoccupazione: Tourmalet, Aubisque, Aspin, Soulor, Peyresord, Des Ares e Port d’Aspet fanno parte da sempre delle tappe più importanti e decisive del Tour de France.
“Sfregasella: l’approche des Pyrénées” titola la copertina tratta da “L’Equipe” e credo che con l’appoggio del giornale organizzatore del Tour de France nemmeno il Patron Monsieur Leblanc, (in)capace di negare all’iridato Cipollini la partecipazione all’edizione centenaria della corsa francese, avrebbe potuto fare qualcosa per fermare l’annunciato assalto ciclistico portato dagli Sfregasella ai colli pirenaici.
Alle 6,45 si parte anche se all’appello manca Vittorio (ci raggiungerà più tardi in auto), il viaggio si prospetta alquanto lungo e stancante, Carcassonne dista circa 830 Km e per raggiungerla impieghiamo dodici ore comprese le gradite soste.
Neanche il tempo di mettere piede nella splendida cittadina, che sfoggia tutta la sua bellezza attraverso l’imponente città medioevale fortificata, e qualcuno avanza richieste in merito all’orario di partenza per il ritorno, mi limito a rispondere con un diplomatico “Ci penseremo….”. Dopo aver scaricato i bagagli e sistemato le specialissime, nelle vicinanze dell’hotel si scatena una lotta tra fotografi, penso subito a qualche personaggio famoso, ed infatti, oggetto di tanto interesse è una nutria che si aggira sulla riva del fiume Aude (la famosa nutria di Carcassonne!). L’intensa giornata si chiude presso un locale situato nel cuore della “Cité” (illuminata è stupenda) e nonostante la stanchezza si faccia sentire con una birra fresca e quattro risate in compagnia riusciamo a fare mezzanotte.
La giornata che segue il viaggio è sempre la più carica di vitalità, c’è tanta voglia di pedalare ed alle 6,00 è normale sobbalzare nel letto per il trambusto procurato da coloro che sono già alle prese con i preparativi. Non è il mio caso e poiché parto con il secondo gruppo mi muovo per la colazione alle 8,15, scoprendo, senza essere affatto stupito, che tutti hanno già consumato. “Quelli del primo gruppo”, un mix di “segoni” e di “ragionieri” (lascio a chi sta leggendo il compito di anagrammare e scoprire un unico termine da utilizzare in futuro…) sono già in trance agonistica, al punto che l’hotel ed il piazzale antistante si trasformano in vespai. Ognuno ha il suo bel da fare, alcuni ingolfano scale ed ascensori per il trasporto dei bagagli, c’è poi chi si improvvisa meccanico, altri addirittura stanno già pedalando nel parcheggio. E’ un rito che si ripeterà ogni mattina e questo entusiasmo frenetico calerà d’intensità in modo proporzionale ai chilometri percorsi per spegnersi definitivamente durante il viaggio di ritorno.
Finalmente, tre minuti prima dell’orario stabilito, il primo gruppo si muove, tre minuti che per qualcuno sono vitali, del resto fa caldo ed è bene sfruttare il fresco mattutino (26 gradi!). Anche per me giunge il momento di essere parte del rito, bagagli sul pullman, controllo della bici, foto di gruppo e, ti pareva, ovviamente in anticipo, anche il gruppo dei “Dobermann” si muove con destinazione St. Girons. Scopro sin da subito che non è giornata, la gamba non gira e purtroppo devo soffrire per tenere il passo sostenuto dagli allenati compagni. L’affanno aumenta quando da affrontare ci sono alcuni saliscendi spaccagambe, per non dire altro. Comunque sia riesco a stare nel gruppo grazie anche al sostegno di Invernizzi, Bettoni e Ghezzi, tutto sembra procedere per il meglio, ma, l’esperienza insegna, non esiste tappa senza imprevisti. La foga del primo giorno ed il sole spremicervello di mezzogiorno fanno perdere la lucidità al gruppo (dei dobermann….), così, dopo settanta chilometri, nei pressi di Pamiers sbagliamo strada e per rimediare non resta altro da fare che percorrere 30 chilometri in più rispetto ai 127 previsti. L’episodio non passa inosservato e Vittorio, dopo un consulto con uno Sponsor vicino al mondo del ciclismo, decide di premiare colui che è stato votato come il protagonista principale della vicenda. Ci si aspetta un premio combattività ed invece ciò che viene consegnato al vincitore è un berretto marcato “Tegola Canadese” che, per restare in tema con quanto accaduto, viene rinominato premio “Tegola d’Oro”.
St. Girons non è una città che regala spettacolo, ci accontentiamo di un temporale rinfrescante coincidente con quello in atto a Bergamo proprio mentre sta per cominciare Atalanta-Reggina. Le notizie corrono, non si gioca, la partita è rinviata a domani, gli atalantini tesissimi ci rimangono un poco male e non riescono a darsi pace, in effetti perché prolungare l’agonia? La serata finisce in una birreria, l’unica aperta per la verità, ed alla compagnia si uniscono due tedeschi cicloamatori di giorno e birroamatori di sera. E’ tardi e per noi è tempo di rientrare, domani si inizia a fare sul serio, Port d’Aspet e Des Ares ci aspettano.
Ciclisticamente l’approccio alla seconda tappa avviene in modo più pacato, rispetto al giorno precedente ci sono le condizioni climatiche ideali per pedalare perché la temperatura si è abbassata ed il caldo del giorno prima ha lasciato il posto ad una gradevole frescura. Mentre affronto le prime rampe del Port d’Aspet sono catturato dalla naturalezza dell’ambiente e mi dimentico per un attimo che sto pedalando. Il silenzio è rotto dallo scorrere dell’acqua limpida di un ruscello che affianca la strada, la vista è fantastica, il cielo è in prevalenza di colore azzurro intenso, il sole splendente crea contrasti di luce che si formano sui prati ancora bagnati per la pioggia caduta, a fare da cornice a questa meraviglia naturale è la ricca ed armoniosa vegetazione presente in questa vallata incontaminata.
La bici è bella anche per questo ma in ogni caso c’è un prezzo da pagare, infatti, l’avvicinamento alla vetta avviene con fatica soprattutto negli ultimi due chilometri. Dopo il raggiungimento del passo scendiamo subito perché a tre chilometri di distanza è prevista la sosta per ricordare Fabio Casartelli, un ciclista che perse la vita durante la tappa del Tour de France del 18 Luglio 1995 andando a sbattere contro un maledetto parapetto in cemento posto nei pressi di un tornante. Tutto il gruppo è fermo in ricordo del campione e mentre guardo la curva disgraziata dove Fabio ha smesso di pedalare mi torna alla mente la voce rotta dalla commozione di Adriano De Zan il quale chiuse la telecronaca di quella tappa dicendo: “E ora lasciateci piangere”.
Si ritorna in sella e terminata la discesa si procede per qualche chilometro in pianura poi è di nuovo salita, ma non è il Des Ares che stiamo affrontando bensì un colle non previsto, il Buret, il Des Ares è poco più avanti. Scollino da solo e per fortuna c’è il rifornimento altrimenti avrei rischiato una crisi di fame. Arrivano Vittorio, Michel e Riccardo, dietro a noi, attardato di qualche minuto, c’è Carlo che ci raggiungerà poco dopo mentre siamo con le gambe sotto il tavolo e con i denti dentro un pane imbottito con prosciutto e formaggio, ci voleva proprio, però ad essere sincero c’era il posto anche per un altro!
Quando percorriamo il viale principale di Bagneres de Luchon sono le 15,30, doccia ritemprante ed in breve tempo guadagno il viale con l’obiettivo di colmare il vuoto di stomaco. Accetto l’invito di Falchetti e compagnia Resta i quali mi consigliano una crepes che si rivela ottima dopodiché, giusto per sciogliere le gambe, una passeggiata è quello che ci vuole.
La serata che ci aspetta è la replica di quella precedente, fuori diluvia e la temperatura si abbassa ulteriormente, questa volta però a Bergamo si gioca e pare si metta subito bene. L’sms che invia mia sorella presente allo stadio dice 1-0 per l’Atalanta, il Pirata accoglie la notizia con un urlo di gioia ma purtroppo, per lui e per tutti gli atalantini, sappiamo com’è finita. Mentre siamo a cena mi tocca consolare Andrea che ovviamente non l’ha presa bene, una battuta scherzosa non serve a nulla, allora intono un ritornello che punge l’orgoglio neroazzurro. La vena ultrà di Andrea si palesa e per replicare agli sfottò promette vendetta per il giorno dopo sulle prime rampe del Peyresord. Intanto ha smesso di piovere ma le previsioni per domani sono pessime, il primo colle da scalare è posto a circa 1.600 metri ed il secondo, il mitico Aspin, a 1.500, la tappa si prospetta dunque impegnativa ed affrontarla con il maltempo non sarebbe certo piacevole. Speriamo bene, ora è giunto il momento di riposare, domani sapremo cosa ci aspetta e poi, a pensarci bene, abbiamo un asso nella manica da giocare in grado di trasformare una perturbazione atlantica in un anticiclone delle Azzorre.
Il riposo notturno è eccellente, il risveglio mattutino è da incubo, cielo coperto e nuvole basse non lasciano alcun dubbio, pioverà come da previsioni meteo, i francesi non sbagliano. La pioggia imminente crea confusione e i primi due gruppi (nel frattempo sono diventati tre) partono in anticipo. All’orario prefissato, puntualissimi, ci muoviamo pure noi del terzo, dopo un km è subito salita ed inizia a piovere. Dura solo qualche minuto, poi qualche tornante più avanti il cielo, seppur ancora coperto, appare più chiaro e trasmette ottimismo. Dopo circa sette km si supera quota 1.000, la vallata improvvisamente si apre e regala panorami bellissimi, le rampe che s’inerpicano fino alla vetta sono ben visibili, ormai sono rimasto solo, in compagnia del mio respiro che è sempre più affannoso. Qualche minuto dopo avverto qualcuno che si sta avvicinando, volgo lo sguardo e vedo Ghezzi appena dietro che procede in scioltezza, con quattro pedalate mi affianca ed una volta vicino ha pure il fiato per parlare. Scolliniamo insieme ma avrebbe potuto andarsene quando voleva, Andrea ha già consumato la sua vendetta mollandomi dopo tre tornanti, il passo offre un’ampia visuale che consente di vedere le cime ancora innevate. Il freddo però si fa sentire ed è bene scendere velocemente per evitare di buscarsi qualche malanno.
Durante la discesa verso Arreau la giornata prende una piega che non ti aspetti. L’azzurro è divenuto ormai il colore predominante del cielo e tutto mi è chiaro quando penso che là davanti a fare da apripista c’è Falchetti. Ai piedi dell’Aspin spunta il sole e inizia a fare caldo, la sorte ci favorisce nei primi sei chilometri perché la strada è ombreggiata e pedalabile, dal sesto km alla vetta è piuttosto dura, pendenza media dell’8% e nemmeno un filo d’ombra. La conquista del colle inorgoglisce tutti, il cartello che delimita il culmine è preso d’assalto come un trofeo ambito, la Champions in confronto è nulla (prova a dirlo ad un milanista….). Epo Epis e Cividini sono indaffarati a distribuire acqua e banane, all’appello mancano ormai in pochi. L’arrivo in vetta dei Pozzoli con il tandem è qualcosa di unico, rapportone da volata, sincronismo perfetto e tenacia da vendere gli ingredienti necessari per compiere l’impresa, che fatica ragazzi! Semplicemente da applausi.
Le asperità quotidiane sono terminate, non resta che espletare il gravoso impegno del pranzo che ho programmato con Paolo (Bonetti) a Bagneres de Bigorre. E allora giù in picchiata, la discesa è filante, bella e senza tratti pericolosi, sostiamo a St. Marie de Campan nei pressi del bivio ove ha inizio la scalata al Tourmalet. Paolo mi provoca.
“Già che ci siamo potremmo scalare il Tourmalet”.
Io da ingrato non lo degno di risposta, l’escalope con i funghi mi aspetta. La sosta rifocillante ottiene il consenso anche dei fratelli Serantoni, di Michel e di Riccardo che si accontentano di un’abbondante Nissoise, invece Amleto, Epo Epis e Carlo preferiscono apprezzare la gustosa ed ottima Escalope. Il recupero delle calorie perse è effettuato, non ci resta che completare l’ultima parte della tappa sotto un sole cocente, penso proprio che Falchetti questa volta abbia esagerato, ma quando scopro che l’hotel è dotato di piscina mi devo ricredere.
Durante la cena il Presidente e Vittorio colgono l’occasione per salutare la compagnia, domani, dopo la scalata del Tourmalet, rientreranno a Bergamo (a proposito, l’hanno scalato o no?). La serata scorre tranquilla, un gruppo va in visita a Tarbes, gli altri rimangono in hotel a riposare, siamo a metà della settimana, la stanchezza comincia a farsi sentire e domani per portare a termine la tappa bisognerà compiere uno sforzo notevole, il Col du Tourmalet, notoriamente conosciuto anche come tetto dei Pirenei, non lascia scampo, ci sarà da soffrire.
La notte porta consiglio e così scelgo di partire con il primo gruppo, la scusa per evitare il ritmo indiavolato dei “Dobermann” è valida perché mi assumo il compito di filmare l’arrivo al passo di ognuno. Per farcela, poco prima di Bagneres de Bigorre, decido di uscire dal gruppo aumentando un poco il ritmo e dopo un paio di chilometri mi ritrovo solo a pedalare controvento senza alcuna possibilità di respirare. La strada sale leggermente, ogni tanto bisogna alzarsi da sella per superare qualche strappo, però tutto sommato va bene, in lontananza intravedo Invernizzi, anch’esso uscito dal gruppo poco prima di me, lo raggiungo e restiamo insieme fino al bivio che delimita l’inizio della scalata. Frattanto alle nostre spalle avvertiamo un rumore simile ad una locomotiva a vapore, niente di tutto questo, è Gambirasio che si è avvicinato, con la testa bassa e curvo sul manubrio ci sta dando dentro come un forsennato.
Siamo a St. Marie de Campan, a sinistra s’imbocca per il Col d’Aspin a destra per il Tourmalet, Invernizzi procede con il suo passo, io e Gambirasio iniziamo la salita insieme, un saluto ad Epis e via. I primi quattro chilometri sono piuttosto facili, riusciamo persino a parlare, dal quinto in poi cala il silenzio, il cartello segnala una pendenza media dell' 8%. A metà salita vedo Vittorio e Riccardo che scendono in auto, beati loro penso, dura un attimo perché dopo una curva verso destra ho altro a cui pensare, la pendenza si accentua e davanti si presenta un drittone, e i tornanti dove sono?
Mi trovo al decimo chilometro, la pendenza è costante e non tende a diminuire, il cartello alla mia destra riporta 10% di media (una mazzata…), poco avanti c’è Carlo che è partito in avanscoperta con Michel, Ildo, i coniugi Traini e i Pozzoli, questi ultimi in sella al tandem. Poco prima di Le Mongie raggiungo il gruppetto degli apripista, Michel è al limite, Traini mi sembra ancora fresco così come la moglie Stefana che pedala agile, Ildo al contrario soffre ma tiene duro e i leggendari Pozzoli salgono a velocità ridotta e con fatica tripla, come faranno a portare su trenta chili di bici? Il tratto che attraversa Le Mongie è impegnativo e la difficoltà è accentuata dal vento contrario che spira piuttosto forte, niente di paragonabile a quello del Mont Ventoux però mai una volta che si trovi il vento a favore!
Ormai sono cotto, per fortuna il cielo è nuvoloso perché gli ultimi quattro chilometri sono completamente scoperti, il bosco ai lati della strada è sparito ed ha lasciato il posto a prati destinati a pascolo, la vetta si avvicina e ciò risolleva il morale. Con grande sorpresa, dopo il primo tornante (era ora….) che permette di respirare un poco, davanti a me vedo tre sfregasella: Brignoli, Resta e Soardi. Raggiungo e saluto il primo, lo incito a non mollare, ma in risposta non giunge alcun segnale, Brignoli è stravolto dalla fatica, vuol risparmiare il fiato e le forze, tanto è vero che al mio passaggio non piega nemmeno la testa ma si limita ad un lento movimento degli occhi (ancora oggi non so se in quel momento ha capito chi ero….). Saluto ed incito anche Resta e Soardi e mi avvio a conquistare la vetta, ormai ci sono, trecento metri ed è fatta, il culmine ancora non si vede, è posto dopo una curva, eccolo, il Tourmalet è domato ed il monumento al ciclista eretto sul tetto dei Pirenei è il giusto riconoscimento per tutti gli appassionati che salgono fin quassù in sella ad una bici. Amleto è già arrivato e mi fa i complimenti, contraccambio immediatamente, lui si che se li merita. Subito indosso i panni di ricambio asciutti, sono nel furgone che sistemo il mio zaino e a momenti Gambirasio mi travolge, anche per lui la salita è finita e la soddisfazione, ancora mista a sofferenza, traspare dai suoi occhi.
Eccomi pronto a filmare, arriva Brignoli, gli chiedo un commento.
“Domani vendo la bici”, è ciò che riesce a pronunciare con il poco fiato rimasto, arrivano Resta e Soardi entrambi dondolanti, poi a seguire Traini e la moglie, Ildo, Michel……per il seguito, sarà disponibile il video!
Gli arrivi, che si susseguono nell’arco di un’ora, hanno in comune la fatica impressa sui volti, ma subito dopo lo scollinamento le facce si rilassano ed appare qualche sorriso, la soddisfazione per l’impresa realizzata è ciò che si ricava dai primi commenti.
Maestroni mi racconta di essere stato vittima di una caduta che per fortuna gli ha procurato solo qualche lieve escoriazione, niente di grave ma poteva andare peggio, siamo vicini a Lourdes e un ringraziamento alla Madonna è il minimo che si possa fare. Giunge il momento di scendere, è un vero peccato lasciare quest’oasi di tranquillità, ciò che ci attende è una picchiata lunga cinquanta chilometri rovinata nel finale da una serie di strappi non segnalati che affrontiamo nel tratto compreso tra Angeles-Gazost e Lourdes. A Lourdes ci arrivo con Paolo, Amleto e Carlo, compagni di pranzo insieme ai Pozzoli, i quali sono sul furgone guidato da Epo Epis a causa di una serie di forature, tre per l’esattezza.
Anche stavolta giungo in hotel per ultimo, dopo la doccia sono vittima di una crisi di sonno improvvisa che mi ruba un’ora. Pancia mia fatti capanna che arriviamo, la cena ha inizio con una abbuffata di fusilli al pomodoro. La tavolata di Albani, Gamba, Pasinetti, Milesi e Meneni rifiuta i piatti e ad ognuno di loro viene servita direttamente una marmitta strabocchevole di fusilli. Non sento la voce di Gambirasio e la cosa mi allarma, la mia preoccupazione scompare nel vedere la sua mandibola in azione per terminare il chilogrammo di pasta, roba da guiness dei primati. Le cameriere dell’hotel fanno fatica a tenere il ritmo, non siamo in bici, siamo nel bel mezzo della cena ed è in atto una furibonda bagarre: pasta e pane a chili, vino e birra a litri, poi carne, insalate e dessert fino all’ultima porzione. Alla fine la spuntano gli sfregasella, l’acido lattico accumulato sulle rampe del Tourmalet è smaltito e appena abbandonano i tavoli con fare baldanzoso le cameriere stramazzano sul pavimento sfinite per la fatica.
Chi glielo dice che domani sera ceniamo ancora qui?
Intanto fuori l’ennesimo diluvio provoca un fuggi fuggi generale e non consente lo svolgimento della fiaccolata in programma nella piazza che si trova davanti al Santuario. La pioggia è stata una costante delle serate fin qui trascorse al pari delle passeggiate che prevedono ogni volta una sosta in birreria. Stasera il gruppo è composto da Gamba (il Pirata…), Gavazzeni, Albani, Meneni, Pasinetti, Bonetti e da un Bracco che fisicamente appare il meno pimpante mentre linguisticamente risulta essere il più energico. A mezzanotte la conversazione scema e un attimo di silenzio equivale al segnale di resa, tutti a riposare che domani c’è bisogno di energia.
Siamo giunti alla quinta tappa e la pioggia è causa di uno stravolgimento del programma, i coraggiosi Valota, Gambirasio e Rondi salgono in sella gli altri si dividono tra Pau e Lourdes. Insieme a Paolo decido di visitare il santuario di Lourdes che è costituito dalla Basilica dell'Immacolata Concezione (o Basilica Superiore) e dalla Basilica del Rosario (o Basilica Inferiore), collegata alla precedente da due ampie scalinate curve. Alla grotta ci sono almeno due o forse tremila persone che ascoltano la messa in francese celebrata dall’arcivescovo di Lourdes. Intanto le condizioni climatiche sono migliorate, è mezzogiorno e ci tocca pranzare, che faticaccia mandar giù un piattone di pasta ed un tagliere di formaggio dei Pirenei. E ora come la mettiamo con la bici?
Il richiamo dell’Aubisque è troppo forte tant’è vero che nel giro di mezz’ora parto con Albani e Maestroni per conquistarlo. L’avvicinamento prevede la scalata del Col de Soulor la cui vetta è avvolta dalla nebbia, la strada che porta all’Aubisque è chiusa alle auto ma le bici possono transitare, anche se, con simili condizioni, intraprendere la via che porta ai 1709 metri del culmine è piuttosto pericoloso. Tento invano di convincere Stefanoni e Gualandris ad oltrepassare la sbarra, Brignoli e Zaccanti non ne vogliono sapere, alla chiamata rispondono quattro temerari: Bonetti, Maestroni, Albani e Bianchi. Le condizioni ambientali che si presentano durante i dieci chilometri che percorriamo per giungere in vetta sono qualcosa di raro, nebbia e sole si alternano, in alcuni punti non si vede a più di dieci metri, in altri la visibilità è buona e si può scorgere la vallata sottostante, a sinistra della carreggiata si erge la parete rocciosa da cui è stata ricavata la strada mentre a destra c’è il vuoto, trattasi di un precipizio che mette i brividi. La salita comunque non è per niente difficile e in cima al colle, dove purtroppo la visuale è nulla, si arriva senza fare troppa fatica. A complicare le cose ci pensa la pioggia che cade copiosa, la discesa è da batticuore, non si vede nulla, la strada è viscida, le curve compaiono all’ultimo momento, si scende a venti, venticinque Km l’ora, ci vorrebbero i fendinebbia, ma dove siamo in un girone dantesco? Poco dopo il Soulor la situazione meteo torna ad essere accettabile, rientriamo con calma e ci gustiamo la lunga discesa, colli da scalare non ce ne sono più, l’ultima tappa da affrontare domani, almeno sulla carta, è completamente pianeggiante.
La passerella finale da Lourdes ad Auch ha inizio tra le 8,30 e le 9,00, la giornata si preannuncia calda, così come caldo è Gambirasio sin dal primo chilometro. Qualcosa durante la notte è successo perché il ritmo che impone nei primi sessanta chilometri lascia sbigottiti. Solo con il primo strappo di giornata la veemenza di Gambirasio inizia a calare e si esaurisce una volta giunti nell’abitato di Bassoues dove sostiamo per rifornirci d’acqua. Caso vuole che la sosta avvenga proprio davanti ad un ristorante già oggetto di attenzioni da parte di Stefanoni, Gualandris, Falchetti, Crotti, Confalonieri e gruppo Resta, un minuto e io e Gambirasio siamo della compagnia per prendere parte alla “tappa enogastronomica”.
Sin dai primi antipasti il gruppo procede frazionato, la prima parte della tappa è adatta agli scalatori, si comincia con uno squisito minestrone di verdure seguito da un piatto composto da gustosissima carne ai ferri accompagnata da patate al forno, il caldo è soffocante, i gregari intanto hanno il loro bel da fare per rifornire i capitani con borracce speciali contenenti un liquido rosso, che roba è? L’etichetta è esplicita: bevanda isotonica ricca di zuccheri semplici, maltodestrine e sali minerali, ricavata da uve di Guascogna! Il finale di tappa si addice invece ai velocisti, il gruppo giunge compatto al traguardo superando le lievi asperità costituite da un piatto di insalate miste, assaggio di formaggi, gelato e caffè. Chapeau!
Foto ricordo e in un attimo (10 minuti) siamo pronti per tornare in bici, adesso sì che sono c….i amari, per arrivare ad Auch dobbiamo percorrere trenta chilometri di strada vallonata, è un continuo su e giù che va di pari passo con quanto è stato mangiato, che botta! In quel di Auch ci perdiamo, siamo una quindicina e riusciamo a formare sedici gruppetti, dopo vari tentativi troviamo la strada che porta all’hotel, sono con Gambirasio quando vedo il cartello dei 500 metri, la strada scende, si viaggia intorno ai 50 orari, curva secca a destra, dieci metri e poi subito a sinistra, Gambirasio arriva lungo e per evitare la caduta tenta l’impossibile, con un riflesso felino sterza fulmineamente a sinistra ma a causa della ghiaia il resto della bici non lo segue e si attorciglia, il baffo, praticamente da fermo, rotola sull’asfalto sfinito, per fortuna tutto finisce con una piccola sbucciatura ed una risata da circo.
Quando arrivano Bettoni, Piazzini, Ghezzi e Milesi, che per scalare l’Aubisque si sono sciroppati 220 chilometri, il carico delle bici è già a buon punto, non resta che aspettare Gavazzeni e Pezzali, anch’essi in cerca dell’impresa sull’Aubisque. Proprio mentre Gualandris e Gamba stanno per ufficializzare la chiusura della settimana e Bonfadini è pronto a consegnare i suoi graditi riconoscimenti Gavazzeni e Pezzali varcano l’ingresso dell’hotel, i due, sebbene giunti fuori tempo massimo scatenano applausi, ma anche qualche mugugno per l’apprensione procurata.
La settimana è prossima alla conclusione, Amleto appone il proprio sigillo regalandoci l’ennesima poesia in dialetto (grandioso!), non resta che il viaggio di ritorno, tutto si è svolto splendidamente (grazie Michel e Riccardo), la compagnia è stata davvero ottima (grazie a tutti), l’assistenza con i furgoni si è confermata perfetta (grazie Epis e Cividini), chiedo venia se ho dimenticato qualcuno, a proposito, chi sono quelli che mi hanno chiesto dove si va il prossimo anno?


Stefano Testa

 


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